Il 20 febbraio 1967 nacque Kurt Cobain, leader dei Nirvana. Sua è la frase “Come as you are”, titolo del secondo singolo più venduto dalla band dopo “Smells like teen Spirit”. L’album era Nevermind, 1991, uno dei più importanti degli anni novanta e della storia del rock in generale. Kurt Cobain, l’angelo biondo dei Nirvana, si suicidò sparandosi un colpo di fucile il 5 aprile del 1994, aveva solo 27 anni.
La morte di Cobain segnò la fine del gruppo e lasciò sgomenta un’intera generazione impegnata da allora a trasmettere il mito di un artista che aveva cambiato le regole della musica. Basta vedere “Cobain – Montage of Heck”, il documentario, il primo autorizzato, prodotto dalla figlia, Frances Bean, e diretto nel 2015 da Brett Morgen, per averne l’assoluta certezza. È l’archivio personale di Cobain e della sua famiglia, con materiale inedito video, fumetti, fotografie, interviste.
E poi ci sono i dischi, i tre album in studio, Bleach, Nevermind, In Utero, usciti in rapida sequenza, che segnarono l’apoteosi del Grunge trasformandolo non solo nel codice musicale degli anni ’90 ma in una sorta di empirica filosofia di vita, oltre che uno stile, nella voce di una generazione, e che fecero di Seattle la capitale del nuovo rock.
L’influenza di Nevermind, l’album caposaldo del grunge del 1991, è andata ben oltre i trenta milioni di copie vendute fino al ’92. Un clamoroso successo partito dal basso: la Geffen, la major che aveva messo sotto contratto la band puntava a vendere 250 mila copie, considerandolo un prodotto di nicchia. Nel suo cammino verso il primo posto vendeva 300 mila copie al giorno. Kurt Cobain era riuscito a intercettare lo spirito del tempo, era un personaggio “contro” e si trovò a essere un mito.